Il dolore del vecchio, solo, umiliato, percosso, violentato

è come l’urlo di Munch,

un boato alto, che rintrona e rimbomba e penetra

fino nelle viscere della terra.

Il vecchio non ascolta, si tappa le orecchie perché non vuole sentire l’indifferenza,

il disprezzo e la perfidia del mondo nei suoi confronti.

La gente quell’urlo lo avverte, lo sente,

ma non vuole ascoltarlo e indifferente continua,

come se nulla attorno a lui stia avvenendo,

a svolgere egoisticamente le sue cose.

 

  1. Macchione, Lucciole d’inverno.

 

 

Introduzione

Il maltrattamento contro gli anziani è un fenomeno complesso e variegato. Per una pluralità di ragioni. Innanzitutto le statistiche, sia internazionali che nazionali presentano pochi dati. La difficoltà nell’effettuare rilevazioni è connotata nella natura stessa del fenomeno oggetto d’indagine. È infatti estremamente difficile ottenere informazioni puntuali soprattutto a causa del fatto che, a seconda del contesto culturale di riferimento, il fenomeno resta sommerso. Nonostante ciò esso è largamente diffuso nel tessuto sociale. I dati prodotti dal National Elder Abuse Incidence Study (NEAIS) ci presentano un trend in crescente aumento, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha deciso di intervenire attraverso l’implementazione di provvedimenti dedicati.

Gli studi disponibili si concentrano prevalentemente nei Paesi sviluppati e sembrerebbero indicare nelle donne i soggetti maggiormente a rischio di subire maltrattamenti (Krug et al. 2002; ONU 2002). Prendendo in considerazione varie forme di abuso: fisico, psicologico ed economico le ricerche mostrano un tasso di incidenza che varia fra il 4 e il 6%, in via di espansione. Tale incremento risulterebbe essere proporzionale all’incremento della popolazione mondiale di soggetti anziani, ed in particolar modo di ultraottantenni.

A commettere reati risultano essere per oltre la metà dei casi i figli (53%), i nipoti (19%) e i coniugi (16%) (Davis e Medina, 2001).

Questa dimensione patologica intrafamigliare è alla base della estrema difficoltà di conoscere la reale estensione di un fenomeno del quale si scorge solamente la punta dell’iceberg. La vittime, infatti, trovano estrema difficoltà nel denunciare il fatto subito per una pluralità di ragioni. In primis ci sono difficoltà cognitive legate a patologie degenerative del sistema nervoso, si pensi ad esempio a tutte le forme di demenza, in secondo luogo troviamo situazioni di fragilità fisica o psicologica, forme di dipendenza dall’abusatore, paura di ritorsioni o di abbandono, la non conoscenza dei servizi di supporto a disposizione sul territorio, la paura di essere istituzionalizzati in una RSA, la paura di non essere creduti, la vergogna, la paura di venir meno a un “patto” familiare, etc. Tutti questi aspetti suggeriscono come la tematica del maltrattamento/abuso sulle persone anziane avvenga sulla base di una “patologia” familiare, o meglio del “corpo” familiare che presenta delle dimensioni precise di trasmissione intergenerazionale di Modelli Operativi Interni, per dirla con Bowlby, patogeni.

D’altro canto i soggetti che pur sospettando un abuso non si mobilitano per una denuncia alle autorità, spesso non lo fanno perché non vogliono essere coinvolte, oppure non ritengono l’abuso serio, soprattutto se la persona non presenta sintomi fisici, oppure perché non sono in grado di riconoscere i sintomi e i segni del maltrattamento.

Di importanza cruciale è dunque il momento della diagnosi dell’abuso, che, nella maggior parte dei casi è riservato alla figura del medico di famiglia. Grazie al suo ruolo particolare tale soggetto si trova in una situazione privilegiata per poter osservare e valutare eventuali situazioni di rischio attraverso una puntuale raccolta anamnestica, una valutazione clinica ed una analisi socio-ambientale del paziente. Questi strumenti permettono di individuare eventuali abusi, oltre che prevenirli nel momento in cui il medico dovesse ravvisare preoccupanti fattori di rischio. Il medico di base risulta quindi avere un ruolo fondamentale nell’accertamento del fatto e nella denuncia alle Autorità competenti.

L’obiettivo del presente capitolo è quello di fornire una panoramica quanto più completa ed esaustiva possibile del fenomeno abuso nell’anziano, cercando di definire innanzitutto cosa si intende per maltrattamento, osservare qual è il profilo dell’anziano che subisce abuso e quali sono i fattori di rischio da tenere in considerazione, tenendo presente che tale fenomenologia si inserisce all’interno di dinamiche familiari patologiche ben precise.

 

Una definizione di maltrattamento

I maltrattamenti e gli abusi in generale sembrano essere un fenomeno trasversale che attraversa tutte le età della vita. Il maltrattamento nei confronti delle persone anziane costituisce uno dei fenomeni più nascosti e meno studiati della società, nonostante da un punto di vista sociologico e demografico si assista ad un incremento dell’età e dell’aspettativa di vita a cui si associa un aumento significativo di persone con sempre maggiori fragilità. Si pendi ad esempio al declino delle abilità cognitive a cui si sommano sia malattie età correlate sia condizioni psicosociali difficili (solitudine, difficoltà economiche ecc.). Tutti questi elementi costituiscono fattori di rischio per abusi e maltrattamenti. A questo punto occorre fornire una definizione di maltrattamento. L’Organizzazione Mondiale della Sanità all’interno del “Rapporto Mondiale su violenza e salute” definisce l’abuso come: “l’uso intenzionale di forza fisica o di potere, minaccioso o reale, contro una persona o un gruppo di persone o una comunità, che risulta o ha un’alta probabilità di risultare in lesione fisica, morte, danno psicologico, non sviluppo o deprivazione” (WHO, 1996). Durante il Piano Internazionale d’azione delle Nazioni Unite svoltosi a Madrid nel 2002 venne fornita una definizione di abuso sull’anziano: “l’abuso su anziani è un segnale, o un atto ripetuto o un’azione particolare che ha luogo all’interno di un rapporto qualsiasi dove si immagina che ci sia della fiducia e che provoca un danno o dell’ansia ad una persona anziana”.

Il maltrattamento consiste quindi in una azione dotata di intenzionalità e di volontarietà che porta la vittima a subire danni fisici o psicologici.

Per quanto concerne la persona anziana è possibile individuare tre categorie di abuso: Domestico, Istituzionale, Auto-inflitto.

Il primo consiste nel maltrattamento della persona anziana all’interno delle mura domestiche proprie o di familiari stretti, il secondo riguarda forme di abuso nei confronti di persone residenti in RSA e il terzo si riferisce a tutte le forme di agiti auto lesivi da parte delle persone anziane.

La tabella seguente riassume le varie tipologie di abuso.

 

 

 

 

Tipologie di abuso
Abuso fisico Dolore

Danni fisici (schiaffi, ustioni, legatura etc.)

Abuso psicologico Sopraffazione verbale

Umiliazione

Intimidazione

Minacce

Abuso economico Furti

Estorsioni

Eredità anticipate

Firme forzate

Violenza medica Eccessiva somministrazione di farmaci o privazione di medicamenti
Violenza civica Arbitraria mancanza di rispetto dell’io dell’anziano
Violenza per omissione Assenza per assistenza quotidiana, negazione delle necessità basiche e dei servizi (negazione di cibo, servizi, salute), dimenticanza, omissione
Abuso sessuale Contatto sessuale di ogni tipo
Autolesionismo Comportamento della persona anziana che mette in pericolo la propria salute e sicurezza

(Barbagallo, M. et all, 2005)

 

Dati epidemiologici

La visione dell’anziano è radicalmente mutata nel corso dei secoli. Si è passati da considerare gli anziani, i “vecchi”, da soggetti saggi e rispettabili, a soggetti negletti ed emarginati; personaggi anacronistici; un peso per una società frenetica e caotica caratterizzata e fondata sull’ideale del profitto. Quale profitto o guadagno si potrebbe infatti ottenere da un anziano? Per fortuna non è sempre stato così e per molti non lo è ancora. Facendo un salto di qualche millennio si può rilevare come Cicerone ne “La Vecchiezza” ricorda come Platone, Isocrate e Gorgia, morirono serenamente, ancora operosi, in tarda età.

Tornando ad oggi il panorama che si osserva è per certi verso desolante. Le ricerche, soprattutto straniere, mostrano un fenomeno in crescete espansione (Shiferaw et all., 1994; Wolf, 2001; Merzagora Betsos, 2004). La letteratura, sia criminologica che geriatrica, mostra uno iato preoccupante fra gli scritti stranieri e quelli italiani in materia di ricerche sull’abuso agli anziani. Tale sproporzione non sembrerebbe legata ad una mancanza di interesse per il fenomeno, quanto ad una difficoltà intrinseca nell’ottenere informazioni puntuali, a causa della natura stessa dell’oggetto di indagine. Le vittime spesso tendono a non denunciare il fenomeno all’Autorità competente se non di fronte a fenomeni estremamente gravi. Quello che è possibile osservare è dunque solamente la punta di un iceberg, in cui la maggior parte è sommersa e silente.

Per quanto riguarda il nostro paese, ad esempio, si possiedono informazioni sugli omicidi di anziani in famiglia. L’Eures calcola in circa il 21% le vittime anziane assassinate in famiglia (Eures, 2004). Per tastare il polso della situazione e farsi un’idea del fenomeno è interessante osservare quanto sostiene Lanza (1994). L’autore ricorda come in Italia nel 1988 gli incidenti domestici con esito fatale siano stati 8646. Fra di essi il 75% riguardava persone con più di 64 anni di età. L’autore sostiene: “tale cifra deve porre un piccolo problema criminologico, essendo ragionevole pensare che qualche riferito ‘incidente mortale domestico’ sia invece frutto di un’azione criminosa di qualche familiare della vittima, in qualche modo poi protetto dagli altri membri del gruppo […]. Per suggerire un’immagine quantitativa del fenomeno stesso, basti pensare che si ipotizzasse che solo il 5 per mille dei morti ‘anziani’ per incidente domestico debba l’inizio della catena causale che ha poi prodotto l’evento letale all’azione illecita di un familiare (una spinta, un tentativo di percosse o di lesioni ecc.), il valore degli omicidi aumenterebbe subito in valore assoluto di 40 unità all’anno”. (Lanza, 1994, in Savona, E., pag. 78, 2005). Un fenomeno inquietante.

Durante la Seconda Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento tenutasi a Madrid nel 2002 venne presentato un rapporto intitolato “Abuse of Older Person 2002”. Tale studio esaminava gli abusi perpetuati contro le persone anziane a livello planetario a partire dal 1982. I risultati mostravano un fenomeno dalle proporzioni preoccupanti ed in costante aumento, rilevando inoltre l’estrema difficoltà nel reperire dati a causa dell’omertà che avvolge il fenomeno con rilevanti costi sia umani che economici.

 

 

 

 

 

 

Conseguenze e costi degli abusi
Costi Diretti Procedure di giustizia penale, assistenza ospedaliera, programmi di prevenzione, educazione e ricerca
Costi Indiretti Produttività ridotta, minore qualità della vita, sofferenze emotive, sfiducia, perdita dell’autostima, invalidità decessi prematuri
Problemi sanitari, Fisici o Psicologici e Lungo Termine Danni fisici permanenti, dipendenza da alcolici e farmaci, diminuita risposta del sistema immunitario, disordini cronici dell’alimentazione e malnutrizione, danni inflitti da se e trascuratezza, depressione, paura e ansietà cronica, tendenze suicide, morte

(Barbagallo, M. et all, 2005)

 

Tutti gli studi, sia nazionali che internazionali basati sulla popolazione anziana mostrano come l’incidenza del fenomeno si attesti intorno al 4-6% del totale. La maggioranza degli abusi avviene all’interno delle mura domestiche (oltre il 75%) e viene perpetuato da un membro della famiglia; le vittime sono per lo più donne (81%) e gli abusatori risultano essere per il 66% uomini con un’età media di 36 anni, per oltre la metà dei casi essi sono i figli (53%), i nipoti (19%) e i coniugi (16%) (Davis e Medina, 2001).

Per quanto concerne i paesi di lingua anglofona ed in particolar modo l’Australia, il Canada e l’Inghilterra si osserva una percentuale di casi di anziani maltrattati che va dal 5 al 10%. Nel paese nord americano in particolare risulta esserci l’abbandono come forma di abuso più frequente (55%), seguito dalle violenze fisiche (15%) e dallo sfruttamento economico (12%) (WHO, 1996).

Come affermato precedentemente esiste una difficoltà oggettiva nell’ottenere informazioni puntuali sul fenomeno del maltrattamento nell’anziano. I dati provenienti dal National Elder Abuse Incidence Study (NEAIS) rappresentano un esempio di dati validi ed informativi sull’incidenza e sulla prevalenza del fenomeno. Lo studio è stato implementato negli Stati Uniti attraverso una metodologia puntuale e rigorosa ottenendo dati sull’abuso domestico e sull’abbandono delle persone sopra i sessanta anni d’età. I dati sono stati ottenuti attraverso due fonti principali. Le Agenzie di Servizi e Protezioni per gli Adulti (APS) e da pressappoco 1100 operatori di agenzie pubbliche o private che per lavoro hanno frequenti contatti con la popolazione anziana. Queste “sentinelle” erano: infermieri, assistenti sanitari e personale dei pronto soccorsi, che potevano fornire informazioni anche sui casi che restavano sommersi. I dati ottenuti mostrano un incremento del 150% in 10 anni di casi di prevaricazione riferiti. A testimonianza del fatto che il fenomeno sia per la maggior parte sommerso si osserva come solamente il 16% dei casi di abuso viene denunciato alle agenzie del territorio. In pratica un caso su cinque. Inoltre il 31% circa del totale presentava segni di auto-lesionismo nell’arco dell’anno. Il 41% dei soggetti auto-lesionisti aveva sperimentato altre forme di abuso concomitanti. La stima è che nell’arco di un anno i nuovi casi di abuso si attestino intorno all’1,3%. La forma più frequente risulta essere la disattenzione (50%) seguita dall’abuso psicologico (35%), economico (30%), fisico (26%), abbandono (4%) e abuso sessuale (0.3%).

In studi condotti a Boston su 2020 anziani (Pillemer, 1988) ed in Canada su 2000 soggetti (Podkieks, 1992), si può osservare come le forme di abuso siano comuni nella popolazione oltre i sessantacinque anni d’età e che la maggioranza di tali azioni venga commessa da parte del caregiver o dei familiari.

Per quanto concerne l’incidenza e la prevalenza del fenomeno nelle istituzioni i dati sono se vogliamo ancora più scarsi. Gli studi sono difficili da eseguire a causa dell’ovvia reticenza sia degli operatori sia degli anziani che temono ritorsioni. Come studio rigoroso si può citare Pillmer (Pillmer et al, 1989) che ha estratto casualmente alcuni impiegati di 31 case di riposo del New Hampshire intervistandoli. Dai risultati si evince come il 36% degli intervistati aveva assistito a fenomeni di abuso fisico e l’81% ad abusi psicologici durante l’anno precedente alla rilevazione. Tutto ciò a testimonianza del fatto che il fenomeno dell’abuso nell’anziano sia estremamente diffuso, ma scarsamente rilevato.

 

 

 

 

 

 

 

Risposte psicopatologiche dell’anziano alla violenza e al maltrattamento

Il maltrattamento è un evento traumatico che comporta importanti conseguenze psicologiche per la vittima (Wolf, 2000). Esistono ad oggi pochi studi che hanno affrontato le conseguenze dell’abuso nell’anziano. Al contrario risultano molte ricerche che si sono occupate dell’abuso nel bambino e nella donna. Phillips (Phillips et all, 1983) prima e Bristowe poi (Bristowe et all, 1989) hanno evidenziato come, in una popolazione di anziani, sia abusati, sia non abusati, esistono differenze significative per quanto riguarda il livello di depressione. Le vittime mostrano livelli di depressione marcati. Tali livelli sembrano essere più alti in corrispondenza di variabili psicosociali quali: condizioni di salute fisica, età, genere, stato civile e sociale. Ad essere maggiormente colpite sembrerebbero essere le donne, con una condizione sociale disagiata, ed età superiore a 80 anni. Tali conclusioni vengono confermate anche da uno studio condotto da Comijs (Comijs et all, 1999). Gli autori mostrano come le vittime anziane di maltrattamenti presentino livelli significativamente differenti di disagio psicologico, in particolare depressione e turbe del comportamento, rispetto ai soggetti non maltrattati.

Secondo gli autori i soggetti apparivano timorosi, ritirati, nervosi, agitati, irritabili, passivi, imbarazzati e, nei casi più gravi, mostravano sintomi di dissociazione. Anche la ricerca condotta dal National Family Violence Resurvey, nel sottocampione che faceva riferimento a soggetti con età superiore a 65 anni, conferma quanto espresso sopra. La violenza intra-famigliare o istituzionale emerge dunque come un importante fattore di rischio per la genesi di disturbi dell’umore, ed in particolare di manifestazioni depressive a cui possono far seguito tentativi di suicidio (Anetzberger, 1997).

Si può inoltre osservare come la demenza, oltre alla depressione, sia un’altra condizione patologica che potrebbe, in alcuni casi, associarsi al maltrattamento. Per demenza si intende una compromissione progressiva e irreversibile delle abilità cognitive, in particolare della memoria, del linguaggio oltre che del comportamento. Ad esempio Dyer (Dyer et all, 2000) mostra come gli anziani vittime di maltrattamento tenderebbero ad avere livelli sia di depressione sia di demenza superiori rispetto alla popolazione normale.

In particolare gli autori mostrano come i soggetti maltrattati presentino una prevalenza di depressione pari al 62% contro il 12% della popolazione anziana di riferimento. Per quanto riguarda la demenza si evidenzia un’incidenza del 51% nei soggetti maltrattati rispetto al 30% dei soggetti anziani non maltrattati.

 

Fig. 1 Percentuale di depressione in soggetti anziani vittime di abusi (elaborazione nostra)

 

Fig. 2 Percentuale di demenza in soggetti anziani vittime di abusi (elaborazione nostra)

 

 

È interessante osservare come il rischio di sviluppare forme depressive o demenza in soggetti abusati sia correlato alla struttura di personalità della vittima. Infatti non tutti i soggetti anziani maltrattati sviluppano tali problematiche. È quindi possibile che tali soggetti presentino delle caratteristiche personologiche particolari che li esporrebbero al rischio di sviluppare forme psicopatologiche quali depressione e demenze.

Wolf (Wolf, 2000) identifica le seguenti caratteristiche: bassa autostima, passività, tendenza all’isolamento sociale, tendenza alla ruminazione mentale e ansia. Ad essi si associano, secondo Comijs e collaboratori (Comijs et al, 1999) fattori psicosociali, quali: difficoltà economiche, condizioni di degrado e cognitive, come la capacità di coping, di resilienza e di mastery, dove per mastery si intende “la capacità di affrontare i propri stati e processi psicologici come problemi da affrontare”(Lalla, 1999). Ovvero, secondo gli autori, il rischio di sviluppare forme psicopatologiche deriverebbe anche dalla capacità che il soggetto-vittima ha di affrontare l’evento traumatico, oltre che a problematiche psicologiche pregresse, quali disturbi d’ansia o dell’umore.

In uno studio clinico gli autori hanno comparato i soggetti non vittimizzati con i soggetti vittime di maltrattamenti osservando come questi ultimi presentassero livelli di stress psicologico, difficoltà finanziarie, scarso supporto emotivo e affettivo e stili di coping disfunzionali con tendenza ad incolparsi   nettamente superiori rispetto ai soggetti non abusati. Il coping rinvia alla capacità di “far fronte alle situazioni”. Si tratta infatti di un insieme di “strategie” mentali e comportamentali che la persona mette in atto nel tentativo di affrontare specifiche situazioni fonte di stress. Esistono varie strategie di coping, alcune più funzionali, altre meno. Ad esempio esse possono andare dal raccogliere informazioni, all’ignorare il problema, dal ricorrere ad aiuti e sostegno esterni ecc. Tutti questi elementi sono essenziali per comprendere come la persona reagisce a situazioni di stress. Il supporto sociale, ad esempio, è una fonte di protezione importante a cui i soggetti vittimizzati possono ricorrere per ottenere supporto e protezione, abbassando notevolmente il livello di stress della persona.

Secondo il Modello Psicofisiologico dello Stress una prolungata esposizione a stimolazioni stressogene inevitabili tenderebbe a produrre importanti conseguenze sia fisiologiche che psicologiche (Gala, Colombo, ?). Selye fu uno dei principali ricercatori che si sono occupati dello stress e dei suoi effetti. Egli definì lo stress come “la risposta non specifica dell’organismo a qualsiasi stimolo interno o esterno di intensità e durata tale da evocare meccanismi di adattamento atti a ristabilire l’omeostasi”. Lo stress diventerebbe foriero di patologia quando il meccanismo di regolazione di quest’ultimo non è stato in grado di riportare l’equilibrio e l’organismo di conseguenza viene a trovarsi in una condizione di esaurimento. Tale condizione prende il nome di distress. L’autore definisce una sindrome trifasica generale dell’adattamento. Innanzitutto si produrrebbe una reazione di allarme a cui farebbe seguito una fase di difesa ed infine una fase di esaurimento o di scompenso, che si produrrebbe nel momento in cui la capacità di adattamento, sottoposta a stimolazioni eccessivamente intense e durature, viene meno. Tutto ciò comporta l’attivazione di meccanismi a livello del Sistema Nervoso Centrale che innescano risposte a livello del Sistema Nervoso Periferico. L’essere sottoposto a una condizione di “stress cronico” o acuto induce secondo alcuni autori ad uno stato definito learned helplessess che potrebbe essere tradotto come “disperazione appresa”. Tale stato è molto simile negli effetti ad una condizione depressiva caratterizzata da: ritardo motorio, rallentamento, perdita di motivazione, inappetenza, perdita di peso, ecc. A livello fisiologico si assiste infatti alla modificazione del sistema serotoninergico in seguito all’attivazione in risposta a stimolazioni acute indotte da stressors cronici che potrebbe indurre a configurazioni biochimiche tipiche della depressione. Oltre a ciò si può notare come anche il complesso recettoriale GABAergico sia estremamente sensibile alle condizioni di stress; ed in particolar modo a una fonte di stress vissuta come incontrollabile fa seguito una inibizione del sistema GABAergico con l’effetto di liberare sostanze endogene pro-ansia che conseguentemente causano una reazione d’angoscia intensa. Da ciò si comprende come una notevole percentuale di soggetti maltrattati, che sperimentano dunque un evento stressante importante, sviluppi malattie fisiche o psichiche.

Riassumendo quindi la risposta psicopatologica dell’anziano alla violenza e al maltrattamento viene mediata sia da variabili biologiche, che psicologiche che sociali, oltre che dalla tipologia di evento stressante. Gli eventi possono infatti differire per gravità, cronicità,incontrollabilità o imprevedibilità.

Risposta psicopatologica
Anziano
Variabili bio-psico-sociali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il soggetto vittima di maltrattamento può inoltre presentare fattori di vulnerabilità dello stato di salute fisica o psichica in generale, presentando fragilità bio-psico-sociali, quali malattie fisiche o psichiche, ridotta autonomia e condizioni di dipendenza fisica o psicologica, solitudine, difficoltà economiche, basso livello di istruzione, ridotta stima di sé ecc. E’ inoltre importante sottolineare come sia presente in alcuni nuclei familiari una tendenza alla trasmissione transgenerazionale di uno stile di abuso/maltrattamento. Questo è un elemento da non trascurare a livello anamnestico in quanto importante fattore di rischio, al pari di tossicodipendenze o alcolismo.

Come osservato precedentemente fra le principali conseguenze dell’abuso nell’anziano si osserva lo sviluppo di disturbi dell’umore ed in particolar modo di depressione. È interessante notare come un precursore del maltrattamento sia il deterioramento cognitivo. Comijs (1999) identificano nel deterioramento cognitivo un importante fattore di rischio per l’instaurarsi di condizioni di maltrattamento, le quali, in un’alta percentuale di vittime conduce a disturbi dell’umore dello spettro depressivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Abuso

 

La condizione anziana è infatti caratterizzata da una lunga e complessa transizione articolata da differenti eventi critici. Uno di questi riguarda l’incontro con la malattia e la condizione di maggiore vulnerabilità che ad essa si associa. Il deterioramento cognitivo, è un evento critico che coinvolge non solo il soggetto ma l’intero corpo familiare che si trova spesso a vivere delle condizioni di stress e di impegno notevoli. Kurt Lewin (1951) ha sostenuto che la malattia dell’anziano sia osservabile come un passaggio di gruppo, all’interno del quale non solamente il soggetto, ma l’intero nucleo familiare sia impegnato in una ristrutturazione profonda. In alcune famiglie in cui il sub strato patologico sia stato trasmesso a livello intergenerazionale la condizione di fragilità di un membro anziano lo colloca all’interno di una situazione potenzialmente rischiosa. Lo stress quindi non solo della vittima ma anche del “carnefice” deve essere considerato attentamente come potenziale fattore di rischio.

Come accennato precedentemente le caratteristiche dell’evento giocano un ruolo centrale nel determinare il tipo di risposta psicopatologica. L’evento può essere percepito dal soggetto lungo un continuum che va da lieve a grave, da controllabile a incontrollabile, da prevedibile a imprevedibile, da limitato nel tempo a protratto nel tempo. La tabella seguente riassume le possibili conseguenze psicopatologiche in risposta alle caratteristiche dell’evento.

 

Evento Caratteristiche dell’evento Risposte psicopatologiche
Violenza fisica o crimine Traumatico – grave

Incontrollabile – acuto

Imprevedibile

PTSD

Ansia

Depressione

Truffe o abuso finanziario Da lieve a grave – incontrollabile

Acuto – imprevedibile

Ansia

Depressione

Suicidio

Abuso fisico in casa o in istituzione Traumatico – grave incontrollabile – imprevedibile

Cronico

PTSD

Ansia

Depressione

Suicidio

Abuso psicologico o emotivo Da lieve a grave – incontrollabile

Imprevedibile – cronico

PTSD

Depressione

Suicidio

 

Come si può osservare il tipo di evento e la caratteristica con la quale si manifesta è direttamente collegato al tipo di risposta psicopatologica che potrebbe essere sviluppata dalla vittima. Quando l’evento si presenta come traumatico i soggetti potrebbero sviluppare la sindrome definita come Disturbo Post-Traumatico da Stress. Il PTSD è caratterizzato dalla compresenza per almeno un mese di sintomi intrusivi, di evitamento e/o attenuazione della reattività generale e di aumento dell’arousal.

Quando l’evento viene vissuto come incontrollabile e imprevedibile la risposta psicopatologica sembrerebbe orientarsi su disturbi della sfera ansiosa quali: Disturbo d’Ansia Generalizzato, Attacchi di Panico ecc.

Per quanto riguarda i Disturbi dell’Umore ed in particolar modo la depressione, essa sembrerebbe svilupparsi in coincidenza con eventi sperimentati come imprevedibili e cronici, protratti nel tempo e di moderata o grave entità. I sintomi causano un disagio clinicamente significativo con una compromissione del funzionamento sociale della persona con tendenza all’auto-svalutazione patologica a cui si accompagna, in alcuni casi, ideazione suicidaria. I principali sintomi della depressione nell’anziano sono i seguenti: umore moderatamente deflesso, visione pessimistica o negativa del mondo di sé e del futuro, marcata o parziale scomparsa di interesse o di piacere per tutte o quasi le attività, variazione significativa del peso e dell’appetito, disturbi del sonno con insonnia o ipersonnia, ansia e agitazione immotivate o rallentamento dell’attività psicomotoria, presenza di sintomi somatici, faticabilità estrema, anedonia e riduzione della memoria e dei processi cognitivi in generale (DSM-IV-TR). Specificatamente si può quindi osservare come accanto a sintomi vegetativi (disturbi del ritmo sonno/veglia, perdita dell’appetito ecc.) compaiano sintomi cognitivi quali anedonia e la cosiddetta Triade di Beck composta da visione negativa del mondo, di se stessi e del futuro; senso di colpa, auto denigrazione e sentimenti di disperazione e di impotenza. Quest’ultimo aspetto risulta particolarmente interessante in quanto la diminuzione dell’efficienza dei processi cognitivi è una parte essenziale del quadro sintomatologico della sindrome depressiva dell’anziano. Tale decremento delle abilità cognitive, sembrerebbe essere la diretta conseguenza della depressione e viene descritta e identificata con il termine pseudo-demenza. Tale sintomatologia si differenzia dalla demenza vera e propria per il fatto che i soggetti presentano coscienza dei loro deficit di memoria e di riconoscimento delle persone, degli oggetti e delle difficoltà di orientamento nello spazio e nel tempo che possono accompagnare queste manifestazioni patologiche. Molto importanti sono le difficoltà di attenzione e di concentrazione.

Esistono in letteratura alcuni strumenti testali preziosi per aiutare i clinici a valutare il quadro sintomatologico del paziente. La Geriatric Depression Scale (GDS) di Yesavage e collaboratori (Yesavage et all, 1983) è una tra le più diffuse scale per la valutazione di sintomi depressivi nell’anziano essendo inoltre validata anche per l’utilizzo con pazienti che presentano demenza di grado lieve o moderato. Lo strumento si compone di 30 items a risposta dicotomica (si/no) con punteggio che varia da 0 (non depresso) a 30 (massima gravità) con un cut-off individuato a 11 per la presenza di sintomatologia depressiva. Lo strumento fornisce le seguenti categorie diagnostiche: da 0 a 10 assente; da 11 a 16 depressione lieve-moderata; 17 o superiore, depressione grave.

Altro strumento interessante è la Cornell Scale for Depression in Dementia (Alexopulos et all, 1988) che permette la valutazione dei sintomi depressivi nei pazienti con demenza. Si tratta di uno strumento che prevede un’intervista ad una persona che conosce il paziente e si compone di 19 item con risposte che hanno un punteggio graduato che va da 0 (sintomo assente) a 2 (sintomo severo). Uno score superiore a 9 identifica i soggetti dementi affetti da sindrome depressiva.

Il maltrattamento si colloca quindi come un evento traumatico che comporta risposte psicopatologiche complesse, che devono essere comprese nel loro senso profondo per poter poi essere trattate.

 

Interventi possibili

Oltre alle iniziative di carattere legislativo risulta importante implementare interventi psicoterapici e di supporto atti a ridurre l’impatto dell’evento stressante sulle vittime, oltre a liberare queste ultime dalle condizioni di dipendenza dai perpetuatori (Wolf, 2000). È inoltre essenziale definire dei modelli di intervento da proporre agli operatori dei servizi agli anziani. Ciò potrebbe raggiungere un duplice obiettivo: sensibilizzare gli operatori rispetto ad una problematica che, come si è potuto osservare, presenta ancora falle di conoscenza, sia per insegnare a coloro che più di ogni altro agente si trova a stretto contatto con l’anziano a cogliere per tempo gli eventuali segnali di disagio che potrebbero essere collegati a situazioni di maltrattamento (Anetzberger, Palmisano, 2000). Per far ciò potrebbero essere strutturati degli interventi che, attraverso video o altri sistemi interattivi, permettano di mostrare i segni e i sintomi, anche fisici, che possono essere causa di abuso (Capezuti, Siegler, 1996). tutto ciò senza dimenticare il ruolo fondamentale svolto dal medico di base. Tale figura professionale proprio per l’utenza con cui viene frequentemente in contatto è il “primo vigilante”. Attraverso una’attenta e puntuale valutazione anamnestica ed un esame degli segni fisici che gli si presentano esso è infatti in grado di effettuare una diagnosi di abuso, e di attivare le necessarie tutele per la vittima. Infatti una volta che l’abuso viene confermato il medico ha il dovere di proteggere la sicurezza e l’incolumità della persona anziana. Esistono però due elementi di cui bisogna tenere conto. Innanzitutto bisogna accertarsi se la persona accetta l’intervento oppure lo rifiuta; il secondo luogo bisogna verificare se essa sia in grado o meno di accettare quanto è successo.

Qualora la persona accetta l’intervento Barbagallo e collaboratori (2005) definiscono le seguenti opzioni di trattamento:

Implementare un piano di sicurezza per la vittima togliendola da eventuali condizioni di pericolo immediato attraverso la localizzazione di un luogo sicuro, un ricovero ospedaliero oppure un’azione legale;

identificare e prestare attenzione alle cause che hanno portato al maltrattamento, definendo e strutturando azioni riabilitative non solo per la vittima ma anche per l’abusatore (ad esempio fornendo dei servizi di assistenza per i caregivers in fase di bournout);

segnalare il paziente e i familiari ai servizi sociali territoriali che possono fornire assistenza immediata sia economica che legale.

Se invece il paziente pur comprendendo il significato dell’evento subito rifiuta l’intervento il medico può cercare di educare la persona rispetto a ciò che ha o sta subendo, fornendo dati sul fatto che tali fenomeni si acuiscono col tempo piuttosto che rimanere episodi isolati; fornire i recapiti e i riferimenti dei servizi di assistenza e programmare un follow-up ravvicinato nel tempo.

Se invece la persona non possedesse le risorse necessarie per decidere sull’intervento, il medico potrebbe prendere in considerazione la possibilità di fare ricorso alla protezione legale.

Alcune associazioni internazionali come la Canadian Task Force, oppure l’American Medical Association o la United States Preventive Services Task Force puntano all’implementazione di alcune linee guida che permettano uno screening degli abusi contro le persone anziane attraverso alcune domande standard.

Il ricorso a forme psicoterapeutiche, individuali e di gruppo, potrebbe inoltre essere un’indicazione preziosa per fornire supporto alla vittima, permettendogli di superare l’evento traumatico elaborando il lutto e l’angoscia che ad esso si associa, mentre interventi sistemici e relazionali sono indicati per il trattamento della famiglia.

 

 

 

 

 

Conclusioni

Il maltrattamento e l’abuso contro la persona anziana è un problema tanto diffuso quanto sottostimato, sia per la mancanza di denunce sia per la non sempre facile identificazione dei casi da parte degli operatori sanitari. Nonostante il reato sia perseguibile in Italia con una reclusione che va dai 6 ai 20 anni non esiste a tutt’oggi una legislazione specifica a difesa dell’anziano. In una società narcisisticamente orientata il contatto con l’anziano sembra generare angosce profonde e spesso inconsce, l’idea della finitudine è infatti bandita. A questo si aggiunge la sempre maggior speranza di vita che però spesso non corrisponde ad una miglior qualità della stessa. Sempre più le famiglie si trovano ad affrontare situazioni difficili, sia dal punto di vista economico che affettivo/relazionale. In tutto questo il prendersi cura dell’anziano mette il “corpo familiare” in una condizione di stress che scontrandosi in alcuni casi con modelli operativi intra-familiari disfunzionali crea terreno fertile affinchè l’abuso venga perpetuato. Anche l’istituzionalizzazione dell’anziano in strutture dedicate (RSA) potrebbe essere un fattore di rischio. L’enorme stress emotivo a cui gli operatori sono sottoposti favorisce situazioni di burnout che potrebbero in casi specifici portare a maltrattamenti. Questi ultimi vengono vissuti dalle vittime in maniera molto diversa e, a seconda della struttura di personalità possono condurre a risposte psicopatologiche di varia natura. In primis depressione e decadimento cognitivo (demenza e pseudo demenza). Simone de Beauvoir in La terza età sostiene “Che per gli ultimi quindici e venti anni della sua vita un uomo non sia più che uno scarto, è una cosa che denuncia il fallimento della nostra civiltà […] coloro che denunciano il nostro sistema dovrebbero mettere in luce questo fatto scandaloso. Solo concentrando gli sforzi sulla sorte dei più diseredati, si può riuscire a scuotere una società…

Si pone quindi un problema complesso. Come tutelare le vittime? Quali piani possono essere implementati per far emergere situazioni di rischio o di maltrattamento conclamato? Come intervenire nella tutela del paziente? Ad alcune di queste risposte si è cercato di dare risposta, ma non basta. Sono necessari piani a livello statale, regionale e provinciale che permettano di far affiorare la parte dell’iceberg che ancora resta sommersa, silente, e dargli voce.

 

 

 

 

 

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